Nonno Gelo - leggenda russa

nonno gelo severino baraldi
Novembre 22, 2016

Nonno Gelo – leggenda russa

Nonno Gelo: fiaba russa illustrata con morale

“Nonno Gelo” è una fiaba per bambini tratta da un’antica leggenda russa.

“Nonno Gelo” racconta di una fanciulla gentile e generosa, trattata male dalle sorellastre e dalla matrigna. So che questi personaggi vi ricordano qualcosa: potete prenderla come una “Cenerentola russa”!

Quella de “Nonno Gelo” è una fiaba russa affascinante, una delle mie preferite da bambina.
A corredare questa gelida fiaba russa de “Il gelo”, troverete le illustrazioni di Severino Baraldi.
Godetevi questa storia per bambini dal mondo, che insegna come la bontà e il buon cuore vincano sempre sull’invidia e la cattiveria.

Una morale simile è quella contenuta nella fiaba di Perrault “Le fate“.


NONNO GELO – Leggenda russa

Illustrazioni di Severino Baraldi

Un ricco contadino, rimasto vedovo abbastanza giovane e con una figlia bambina, Martina, decise di risposarsi con una donna che aveva due figlie, poco più piccole della sua.

Fu un grande sbaglio!
La donna si rivelò cattiva e crudele, così come le due figlie, Paricha e Liuba.
Entrambe erano maleducate e rispondevano male al padre, inoltre odiavano profondamente Martina. La invidiavano per la sua bellezza e la trattavano come una serva.
La piccola doveva cucinare, pulire casa, fare il bucato e mille altre faccende.
Martina faceva tutto senza lamentarsi, ma riceveva comunque rimproveri e prese in giro. 

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“Martina, il pavimento è sporco, lavalo!”.

“Martina, la minestra è troppo cotta e il pane è bruciato!”.

“Martina, sei una fannullona perdigiorno!”.

La poverina sopportava tutto in silenzio, piangeva quando non la vedeva nessuno e si dava da fare il doppio, per accontentare quelle streghe. Il padre, invece, aveva così tanta paura della seconda moglie, che non osava aprir bocca.

Gli anni passarono, le bambine crebbero e diventarono tre belle ragazze. Martina era la più bella delle tre, poiché il suo viso era reso ancora più luminoso dalla bontà e dalla rassegnazione. Anche per questo le sorellastre e la matrigna, gelose, si accanivano sempre più contro di lei.

La matrigna non sopportava di vedere le sue figlie superate dalla figliastra e un giorno disse al marito:

“Bisogna trovare uno sposo per Martina, che è la figlia maggiore”.

“Sì, moglie mia, hai ragione. Che cosa ne pensi di Ivan Ivanovic, nostro vicino?”, rispose il marito.

La matrigna battè con stizza il piede sul pavimento.

“Il mio progetto è molto diverso. Lasciami fare e non contraddirmi”.

Il povero uomo abbassò il capo con un sospiro, sottomettendosi al volere della perfida moglie.

Ella continuò: “Domattina ti alzerai all’alba, attaccherai il cavallo alla slitta, farai radunare la roba di Martina in un fagotto e poi partirete”

“Per andare dove, o moglie?”.

“Lo saprai quando sarà il momento”.

“Dovremo andare molto lontano? Fuori il gelo imperversa, è pieno inverno e fa molto freddo”.

“Adesso basta, sta zitto!”.

E l’uomo tacque all’istante.

Alla notizia che si sarebbe sposata, Martina fu molto contenta. Quella notte fece dei sogni bellissimi e si svegliò raggiante, si lavò canticchiando, si pettinò con cura e indossò il suo miglior vestito. Sopra indossò una pelliccia spelacchiata, l’unica che avesse, e fu pronta.

Padre e figlia mangiarono la misera colazione che la matrigna aveva preparato per loro, pane secco e minestra di cavolo. Poi la donna disse al marito:

“Sali sulla slitta insieme a Martina e va fino alla collina in mezzo al bosco, dove si erge quell’enorme abete. Là ella scenderà e aspetterà lo sposo che io ho scelto per lei: il Gelo in persona“.
“Il Gelo… Il Gelo sarebbe lo sposo adatto a nostra figlia, o moglie? Ma lui…”.

“Lui è ricchissimo. D’inverno è il signore di tutta la terra. E’ forte e potente. Che cosa si potrebbe desiderare di meglio? Bando alle ciance: in cammino!”.

Quando seppe cosa la aspettava, la povera Martina pianse e si disperò, ma alla fine dovette rassegnarsi e partì col padre. Era così freddo fuori che la neve era diventata dura come la pietra e si faceva fatica anche a respirare.

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La slitta percorse un bel pezzo di strada, poi si avviò per un sentiero, salì in cima a una collina nel cuore del bosco e infine si fermò sotto un abete enorme, il più alto di tutti gli altri alberi.

“Il tuo viaggio termina qui”, disse il padre a Martina: “Aspetta l’arrivo del tuo futuro sposo, il Gelo, e buona fortuna, mia povera figlia”.

Martina si strinse al corpo la pelliccia spelacchiata, prese il fagotto con le sue cose e si mise a sedere sulla neve gelida,
sotto l’abete, mentre la slitta sfrecciava via, scomparendo nella nebbia.

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Avrebbe voluto piangere dalla disperazione, ma non  lo fece, perché sapeva che le sue lacrime si sarebbero trasformate in ghiaccioli.

Un po’ di tempo dopo, il silenzio che regnava nel bosco fu interrotto da alcuni strani scricchiolii: era il Gelo che si avvicinava, saltando da un albero all’altro. Più si avvicinava, più il freddo diventava pungente e insopportabile.

Alla fine il misterioso signore dell’inverno si fermò sulla cima del grande abete e dall’alto chiese:

“Come va, bella Martina? Sei al calduccio?”

E Martina, con i denti che le battevano, rispose:

“Sì, grazie, sto bene”.

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Il Gelo allora balzò giù su un ramo più basso e chiese ancora:

“E ora? Senti caldo, mia bellezza?”.

“Un delizioso teporino”, sussurrò Martina, che era mezza assiderata.

Il Gelo scese ancora più in basso. Il suo viso pallidissimo ora si distingueva bene: i suoi capelli erano irti cristalli di neve e i suoi occhi erano di un pallido azzurro. Il suo corpo propagava un freddo così pungente che il legno dell’abete schioccava, scricchiolava. A Martina sembrava di essere già diventata un pezzo di ghiaccio, ma quando l’imponente futuro sposo tornò a chiederle se stesse bene, trovò un filo di voce per rispondere:

“Sto benissimo, come se mi trovassi davanti a un bel caminetto acceso”.

Allora il Gelo si intenerì e la avvolse in una preziosissima pelliccia pesante, e la cullò fino a che non si fu addormentata.

La mattina seguente la matrigna disse al marito:

“Va a vedere se il Gelo ha portato via con sé la sua sposa”.

In cuor suo ella sperava che la ragazza fosse morta di freddo, durante la notte. Quale fu la sua sorpresa quando se la vide tornare sulla slitta tutta felice, avvolta in una stupenda pelliccia degna di una regina e con in mano un cofanetto traboccante di diamanti, al posto del suo misero fagotto. Subito si rivolse al marito, cercando di celare la sua rabbia:

“Dobbiamo dare anche Paracha e Liuba in spose al Gelo, così da vederle tornare cariche di doni preziosi. Prepara la slitta, domani partirete”.

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La mattina del giorno dopo, la donna preparò una abbondante colazione per le due ragazze, fece indossare loro calde pellicce e le salutò con mille auguri di buona fortuna.
La slitta percorse un bel pezzo di strada, poi si avviò per un sentiero, salì in cima a una collina nel cuore del bosco e infine si fermò sotto un abete enorme, che spiccava su tutti gli altri alberi.

“Il vostro viaggio termina qui”, disse il padre alle figliastre: “Arrivederci”.

E se ne andò.

Le due ragazze si strinsero al corpo le pellicce e si misero sedute ai piedi del grande abete. Non erano affatto di buonumore.

“A me sembra una sciocchezza dover condividere tra noi due lo stesso marito”, disse Paracha.

“Già, come se nei villaggi vicini non ci fossero decine di giovanotti ben felici di sposarci!”, ribatté Liuba, che aveva messo gli occhi sul ricco figlio di un mercante.

“Speriamo che il signor Gelo non si faccia attendere troppo”, aggiunse Paracha, “Ho un tale freddo ai piedi”.

“Anch’io”.

Ma il tempo passava e nessuno arrivava. Iniziò a cadere qualche fiocco di neve, ed era neve così ghiacciata e dura che lasciava il segno dove cadeva. Le due sorelle erano tutto un tremito e un battere di denti.

Balbettando, Paracha disse:

“Liuba, se lo sposo volesse una sola di noi, chi sceglierebbe secondo te? Me di sicuro, dato che sono la più bella”.

“Bella, tu? Ah, ma dovresti vederti! Hai tutto il naso rosso paonazzo!”.

“E tu? Sei livida e tremi da capo a piedi, davvero una bella sposa!”.

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Passò ancora del tempo e le due sorelle erano furibonde, perché non si faceva vedere nessuno.

Cominciarono a inveire.

“Ehi, promesso sposo, proprio tu! Sei un bel villano a far aspettare così due belle fanciulle”.

“Ti sei forse addormentato, brutto scimunito? Non vedi che stiamo congelando?”

Ma non si udì nessuna risposta, solo silenzio. Le ragazze battevano i piedi per terra, sfregavano le mani tra loro per farsi caldo e continuavano a insultare il Gelo. Se ne sarebbero certo andate, se non le avesse trattenute il ricordo dei ricchi doni di Martina, il cofanetto pieno di brillanti e la stupenda pelliccia.

A Paracha lacrimavano gli occhi, a Liuba gocciolava il naso ed entrambe erano arrabbiate nere.

Finalmente, attraverso il silenzio del bosco, si sentì uno scricchiolio lieve. Nonno Gelo si stava avvicinando.

Nonno Gelo

Quando si fermò in cima all’abete, l’aria divenne ancora più fredda. Poi chiese alle due accovacciate ai piedi del tronco:

“Come va, ragazze? Siete al calduccio?”

“Al calduccio, ma stai scherzando?”, risposero in coro le sorelle: “Stiamo per morire congelate. Aspettiamo il nostro promesso sposo, ma quel maleducato non si fa vedere”.

Il Gelo balzò su di un ramo più basso e tornò a chiedere:

“E ora, sentite più caldo, mie bellezze?”

“Sta’ zitto, sciocco! Non vedi che a causa del gran freddo stiamo diventando blu? Taci e va’ al diavolo!”.

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Il Gelo allora saltò a terra, facendo scricchiolare tutto intorno a sé. Alitò in faccia alle ragazze chiedendo:

“E adesso, avete un po’ più di calduccio?”.

Ma le due non risposero: si erano trasformate in due statue di ghiaccio!

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Nonno Gelo rise, agitò il suo mantello candido e scomparve nel cuore del bosco.

La mattina seguente la matrigna svegliò il marito ancor prima dell’alba:

“Svegliati, pigrone. Metti delle coperte calde sulla slitta e corri nel bosco. Le mie povere figlie saranno mezze congelate a quest’ora, ma spero che il Gelo abbia donato loro cose ancora più belle di quelle che ha dato a Martina.

Con un sospiro, l’uomo attaccò il cavallo alla slitta e si inoltrò nel bosco. Quando arrivò ai piedi del grande abete, trovò Paracha e Liuba trasformate in due statue di ghiaccio. Le prese, le adagiò sotto delle coperte e le ricondusse a casa. Appena sua moglie lo sentì arrivare, corse fuori e, giunta alla slitta, sollevò le coperte. Quando vide le sue care figliole ridotte a pezzi di ghiaccio, iniziò a gridare e a disperarsi, e a strapparsi i capelli, accusando il marito dell’accaduto. L’uomo, che l’aveva sempre temuta, trovò infine la forza di ribellarsi.

“La colpa è tua! Tu e le tue figlie volevate la ricchezza a tutti i costi! Ecco, adesso l’avete avuta. Ora non ci resta che una figlia ad allietare la nostra vecchiaia, e guai a te se non la rispetterai”.

La matrigna ammise che il marito aveva ragione. Depose le due statue in cantina e poi chiese scusa alla figliastra di tutte le cattiverie che era stata costretta a subire.

Qualche mese dopo, la bella Martina venne chiesta in sposa da un ricco mercante. Le nozze furono celebrate e i due ebbero molti figli che crebbero vivaci e sani. Quando qualche volta combinavano qualche marachella un po’ più grossa, li minacciava:

“Guardate che chiamo Nonno Gelo!”

E quelli subito tornavano calmi come agnellini.

Nonno Gelo, leggenda russa: morale

Questa affascinante fiaba russa sul Gelo ci ricorda di essere ogni giorno educati e rispettosi, poiché la bontà e la mitezza d’animo sono sempre ripagate. La gelosia e la cattiveria non portano mai niente di buono!
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